Miniracconti

Abitudine

Sveglia.

Caffè.

Vestirsi.

Uscire.

Bar della rotonda.

Cappuccino, croissant al mirtillo. Sigaretta. 

Esco per fumare; all’interno non si può da anni ormai. E resto lì, a fissare ogni macchina di passaggio finché, come una scheggia impazzita, lei esce dall’autostrada a tutta velocità, percorre tre quarti di rotonda ed entra in paese, scomparendo nel traffico.

Rientro, prendo il secondo caffè, pagato in anticipo, e mi dirigo verso il lavoro.

Sono un’abitudinaria.

Ci vuole metodo per certe cose, crearsi una routine non è stato semplice. Sono stata disordinata in passato, sono stata una ritardataria cronica e disattenta, incostante e perfino allegra. Sono stata ognuna di queste cose e ora stento a crederci io stessa. È come se i primi anni della mia vita fossero stati necessari per liberarmi di questi difetti e rendermi quella che sono; è stato un processo lungo e doloroso. Non sono felice forse, ma sono serena ed è una conquista.

Mercoledì è stato diverso dal solito. 

Sveglia.

Caffè.

Vestirsi.

Uscire.

Bar della rotonda.

Cappuccino, brioche al cioccolato bianco. Sigaretta.

Il gusto del cioccolato si è mescolato a quello della sigaretta e, mentre distratta assaporavo quell’azzeccato miscuglio di sapori, mi è passata davanti più lentamente del solito. La mia visione laterale è stata allertata dal rosso della sua auto, così l’ho seguita attentamente, finché non è sparita oltre il cartellone di benvenuto del paese. Aveva gli occhiali, non sono riuscita a capire di che colore fosse vestita ma ho colto quell’espressione corrucciata sulla fronte, qualcosa di conosciuto, che mi ha scaldato il cuore prima di ferirlo. Era troppo familiare per non toccarmi e lasciarmi sconvolta per tutta la mattina. I dettagli, sono quelli che possono accorciare di colpo la distanza emotiva che credo di poter mantenere.

Ho scelto questo luogo per la posizione privilegiata che mi consente di vederla da lontano e poi, la prima volta che ho varcato la soglia, sono stata accolta dall’aroma del caffè e da un estremo ordine: le scatole ben allineate sugli scaffali, le bottiglie colorate nel frigo elegante, i cioccolatini ben protetti sotto il vetro dei tavoli, che nessuno può toccare.

È questo che ho fatto: ho imparato a vivere evitando il contatto con le persone, mi conferisce sicurezza, mi sento al sicuro e do che nulla può accadere dentro la mia bolla. Nello stesso modo guardo lei quando passa, come fosse su uno schermo, la distanza mi rende superiore, distaccata quel che basta per non soffrire.

Giovedì di nuovo cornetto.

Avevo deviato il giorno prima e seguire la sequenza è fondamentale. Aver colto quella ruga ha incrinato qualcosa; ma la macchina rossa fa parte della routine e quindi torno sul luogo del delitto. Ogni giorno.

Sveglia.

Caffè.

Vestirsi.

Uscire.

Bar della rotonda.

Cappuccino, croissant. Sigaretta.

Questo bar mi consente di osservare e basta; il cappuccino e il cornetto caldi scacciano il freddo notturno, quello alla schiena che mi fa tremare, che mi ricorda quelle notti, poche e lontane, quando non c’era mai spazio fra di noi e la dolcezza del suo viso era spezzata solo da quella ruga che solcava la fronte. Sento una fitta forte, è solo un attimo… no, solo un sogno, un errore.

Ora è giorno. Realtà.

Oggi non vedo l’auto, mi arrendo e decido di rientrare, indugio un poco sulla soglia e poi sento dire mi scusi, mi volto e la vedo, quegli occhi verdi che mi guardano da così vicino, la matita sugli occhi leggermente sbavata, un’espressione gentile, la ruga appena accennata; mi sono sentita morire.

Sogno e realtà non si possono incontrare, come la vita che è e quella che avrebbe potuto essere. Così, invece di rientrare, ho indietreggiato, sono risalita in macchina e me ne sono andata.

Lasciando il caffè sospeso.

Come la mia vita.

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